Riforma del Senato: la minoranza Pd lascia il tavolo, è caos

Riforma del Senato: la minoranza Pd lascia il tavolo, è caos

ministro-boschiSalta, il tavolo delle riforme, il clima sulle riforma costituzionale del Senato si fa incandescente. Doris Lo Moro, esponente bersaniana della minoranza interna presente oggi al tavolo del Pd sulle riforme, in forte polemica con la ministra Boschi ha lasciato la riunione. L’esponente bersaniana, ha dichiarato che le trattative sono ad un «binario morto» ed ha aggiunto: “Non si discute né di articolo 2 né di competenze, ne di funzioni e garanzie del nuovo Senato”.

Non esiste quindi nessuna mediazione nel Pd sul nodo dell’eleggibilità dei futuri senatori. Il presidente dei senatori del Pd, Luigi Zanda preso atto dello stallo, ha chiesto al presidente Grasso “la convocazione dei capigruppo, anche a nome degli altri colleghi della maggioranza”, quindi, subito in aula.

Lo strappo della minoranza dem appare insanabile, pertanto su input di palazzo Chigi il Pd accelera e chiede la convocazione dei capigruppo al Senato, forse già domani mattina, per calendarizzare il ddl riforme. A quel punto la “palla infuocata” passerà nelle mani del presidente Pietro Grasso che dovrà pronunciarsi se dichiarare ammissibili o meno gli emendamenti al ddl Boschi relativi all’art.2 sull’elezione dei senatori.

Pietro Grasso dal canto suo, sulla questione ha mostrato un non celato disappunto, infatti lo scarico dell’ultima parola sulla sua persona, ha un sapore di sfida e anche un certo sgarbo istituzionale. Perché non solo il premier risponde agli auspici del presidente del Senato sulla necessità di un accordo politico con un classico “non tratto”, ma scarica sulla Seconda carica dello Stato le fibrillazioni della minoranza con un poco diplomatico: “Problema di Grasso”.

Renzi dunque sulle riforme conferma la linea dura: da approvare in Senato prima del 15 ottobre. La tabella di marcia è inderogabile, “Entro il 15 ottobre la legge di stabilità deve essere presentata in Senato” , ha detto il premier parlando ad una conferenza stampa nella sede del Mibact.

Renzi ostenta sicurezza e sembra andare deciso verso la strada del voto senza ascoltare nessuno, ma i numeri al senato per il governo sono tutt’altro che rassicuranti. L’impressione è di un “grande bluff”. Oltre ai dissidenti democratici, capeggiati dai vari Felice Casson e Corradino Mineo, il nodo più complicato da risolvere appare quello inerente il suo maggiore alleato, cioè l’NCD di Alfano. Ed è questa la fronda che più spaventa Renzi. La rivolta degli alfaniani è capeggiata da Gaetano Quagliariello che in modo chiaro ed esplicito ha dichiarato: “se il premier non accetterà di introdurre il premio di coalizione nella sua riforma, l’Ncd deve votare contro”. La posizione è chiara: “noi abbiamo il diritto di esistere“ e si sa, di fronte alla morte, “politica” si intende, nessun negoziato può esistere.

la riforma del Senato quindi è legata alla modifica dell’Italicum, la riforma elettorale su cui gli alfaniani pongono le loro condizioni, ma proprio su questa linea il premier è irremovibile. Il rischio di ritrovarsi nuovamente con alleati come SEL, lo terrorizza più delle minacce di Quagliarello.

Lo scenario per Matteo Renzi è dunque rischiosissimo. Ed il commento di un uomo, profondo conoscitore dei meandri del palazzo come Augusto Minzolini, che divertito e sornione dichiara: “Renzi non ha i voti, la falla dentro Ncd è più grande di quel che lui immagina”, rende chiara ed inequivocabile la complessità della sfida.

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