Si direbbe che qualcosa si stia muovendo nella sconsolante immobilità del Paese, dei suoi giuristi, dei suoi imprenditori, dei suoi abitanti di buon senso e di buonafede di fronte allo scempio del diritto, dell’economia, della civiltà dei rapporti tra governanti e governati consumato in nome di un komeinismo antimafia e di un controriformismo inquisitorio che sono la negazione della nostra stessa società.
Abituati, ma non rassegnati a parlare al vento, a scrivere per esser letti da pochi e rassegnati amici da anni ed anni, può darsi che il nostro sia un sussulto di ottimismo ingiustificato. Ma è nostro dovere, è diritto della nostra non rassegnazione ad esporlo, a tentare di condividerlo con chi, rassegnato, ci ha magari fatti oggetto del suo affettuoso scetticismo.
Lo abbiamo già scritto: c’è un sussulto contro quella particolare ma essenziale forma di demolizione dei fondamenti civili e sociali del nostro diritto penale che sono le “misure di prevenzione”. Antimafia, ma non solo.
Perché il virus velenoso dello sprezzo dei principi, maturato in nome delle emergenze, è sempre destinato ad invadere ed infettare tutto l’organismo del diritto e della civiltà.
Si sono accorti anche i dormienti che sono migliaia gli innocenti, gli inutilmente assolti, le vittime stesse della mafia ad essere depredati dal meccanismo della c.d. “prevenzione”, oltre che dalle Saguto e dai suoi sodali, imitatori e maestri. Si sono accorti che quello delle misure “interdittive” prefettizie di messa al bando di imprese nemmeno indiziate di “infiltrazioni mafiose”, ma “esposte al pericolo di tali infiltrazioni” ha messo in ginocchio la provincia di Reggio Calabria, e quella di Palermo ed altre.
Perché sono giunti a perseguitare, (che in termini di utilità produttiva significa distruggere), imprese, appunto, “esposte al pericolo di infiltrazioni mafiose”. Così le vittime diventano colpevoli, cioè vittime anche di uno sciagurato sciacallaggio antimafia. Che ci ricorda il cinismo dei generali francesi (ma non solo di loro) che sostenevano nel 1917, cento anni fa, che bisognava fucilare un po’ di soldati “per incoraggiare gli altri”.
Potremmo fare volumi e volumi di mostruosità giudiziarie di questo tipo. E qualcuno di noi lo farà, come farà e faremo un’antologia delle cazzate di contorsionisti delle motivazioni con le quali lorsignori coprono questo letamaio con le loro toghe e, magari, con i loro ermellini.
Ma ormai se ne parla. Non siamo solo noi a denunciare lo scempio. Quale che sia il motivo di questo risveglio, solo in questi giorni sulla stampa nazionale, nelle televisioni, qualcuno osa alzar la voce, dire che così non va e non può andare.
E’ ora, però che a parlare siano tutti quelli, almeno, che sanno e, fino ad oggi non osano.
Occorre reagire duramente, contro la Rosy Bindi che, idealmente in pantaloni rossi come i generali francesi del 1917, gracchia che bisogna decimare le imprese “per incoraggiare le altre” sulla via di un radioso avvenire antimafia. Basta con la perfida e ridicola retorica che sa di Sant’Uffizio, di questa antimafia mafiosa e beghina!!!
Bisogna che le vittime di queste soperchierie, quelle che la Santa Inquisizione tornata ad imperversare con i suoi roghi, debbano andare in giro solo col “sambenito”, l’abito del penitente. Comincino col passa-parola a darsi il segnale della ribellione all’ingiustizia della messa al bando e riconoscano chi si batte per far cessare lo scempio che, oramai, è una sciagura, una palla al piede per tutto il Paese. Facciamo circolare gli scritti ribelli.
E basta con le proposte, le invocazioni, di un “miglioramento” di una “correzione”, magari, del codice antimafia. Basta con i ridicoli tentativi di cavar sangue dalle rape, ragionevolezza da un Orlando e di magistrati “moderati”.
Un appello speciale agli avvocati: mettano da parte i loro studi, le loro analisi, (parlo, ad esempio quelli del Consiglio Nazionale Forense) per “correggere” il codice antimafia. non si riducano ad umiliarsi in un dialogo con un Orlando. Parlino invece alla gente. Scrivano sui giornali. Adoperino internet. Diventino agitatori in nome della legalità vera.
L’antimafia, le leggi speciali, la cosiddetta prevenzione sono diventate la vera matrice del rinnovato potere odioso della mafia. Basta con l’Antimafia-Mafiosa. E basta con gli sciacalli dell’Antimafia.
di
Mauro Mellini
Eletto deputato nel 1976, ha combattuto le più note battaglie radicali per poi allontanarsi dal partito alla fine degli anni ottanta in concomitanza con la scelta del Partito Radicale di trasformarsi in soggetto transnazionale e di non partecipare più a competizioni elettorali italiane.
Successivamente ha ricoperto il ruolo di componente del Consiglio Superiore della Magistratura. Editorialista e saggista, è autore di numerosi scritti, in cui con vena polemica indaga sulle storture della legge. Il suo testo più noto è Così annulla la Sacra Rota (Samonà & Savelli), che contribuì fortemente all’approvazione della legge sul divorzio.
Nel 2006 ha fondato insieme ad Alessio Di Carlo il periodico on line GiustiziaGiusta, dedicato ai temi della giustizia in chiave garantista.
È stato ed è uno dei primi e più strenui difensori del garantismo, a partire dal celebre caso Enzo Tortora.