La vergogna della contrattazione della legge elettorale (in cui ora, grazie a Berlusconi, si è inserito anche il “do ut des” sulla data) sta toccando il limite dell’inconcepibile del “doppio turno all’italiana” proprio in questa tornata “legislativa-elettorale”. Questa volta, oltre al solito a andare a votare, previa “adeguata” legge che dica quel che dovrà valere dopo il nostro voto ci ha messo anche del suo la Corte Costituzionale.
Ho ripetutamente cercato di spiegare il mio pensiero sul rischio di definitivo naufragio di quel tanto di “stato di diritto” nel nostro Paese (altro che ridicole “marce” e digiuni di chi, magari, ne ha solo inteso parlare!!!) per la sua trasformazione in “giurisdizionalizzazione” dello Stato. Pretendere, o consentire, o lasciare senza nemmeno accorgersene che ciò intervenga, cioè che sia la “giurisdizione”, il potere giudiziario a stabilire quanto delle leggi è opportuno e quanto è inopportuno, il principio della fine e non, come si pretende, il coronamento dello “stato di diritto”. L’andazzo nel nostro Paese, grazie allo scadimento della funzione legislativa, ma anche grazie alla tollerata creazione di un arrogante ed invadente Partito dei Magistrati, è stato per anni proprio quello.
La Corte Costituzionale, che avrebbe dovuto garantire proprio lo “stato di diritto”, anch’essa espandendo il proprio ruolo e la propria funzione, ha realizzato la “supplenza”, rispetto alla politica, al Parlamento (esatto contrario della funzione per la quale era stata istituita). Già nella Prima Repubblica aveva dato luogo a palesi distorsioni ed a funesti inconvenienti, come nei casi in cui le sentenze della Consulta crearono problemi di “copertura finanziaria”, cosa che stava a testimoniare che, di fatto, esse non avevano eliminato elementi di incostituzionalità, ma “cambiato” provvedimenti legislativi e stravolto “soluzioni” anche finanziarie di tali problemi.
Ma almeno la Corte aveva ripetutamente riaffermato la necessità di un limite alla sua attività diretta o indiretta (ammissibilità di referendum, ad esempio) al fine di non creare, nell’ordinamento costituzionale, vuoti di “leggi necessarie” quali, appunto le leggi elettorali.
Se può apparire strano che proprio le “leggi necessarie”, quelle che si possono sostituire ma non abrogare, debbano essere così sottratte al sindacato di costituzionalità, basta considerare che, abolire una legge elettorale dichiarandola incostituzionale significa, anzitutto, venir meno al principio di “rilevanza” rispetto ad una specifica controversia, perché, come è avvenuto con la sentenza sul “Porcellum”, si è abolita, sia pure parzialmente (quanto basta) la legge, ma non si è minimamente inciso sull’esito della controversia sollevata dall’elettore, nel corso della quale la questione era stata sollevata e rimessa alla Corte, perché sono rimasti validi i risultati elettorali e la composizione della Camera, determinati secondo la legge pure dichiarata incostituzionale. Così la Consulta ha effettuato la prima “trasformazione” del proprio ruolo, al di fuori della attualità e della effettiva incidenza dell’esito della sua decisione, da valere solo per il futuro e non, come stabilisce la legge costituzionale, anzitutto per il caso specifico in cui essa intervenga.
Ma, poi, questo è l’aspetto addirittura grottesco di questa assunzione di un diverso e distinto compito che si è arrogato la Corte con una sentenza che fa pensare a quella di un giudice che, accerta che vi è stata una truffa, ma “condanna” il truffatore a rifare lui per benino il contratto truffaldino, conferendogli la facoltà di imporre al truffato (nel caso gli Italiani) l’attuazione delle escogitazioni della sua esperienza nel ramo e probabili nuovi abusi. Aggiungendo alla truffa l’estorsione.
Così che la “tutela dei diritti costituzionali” affidata alla Corte Costituzionale è divenuta, per una palese devianza, dimostrata, tra l’altro, dall’aver ignorato le precedenti affermazioni di principio, strumento per proseguire con maggior forza ricattatrice nell’abuso e nelle violazioni della Costituzione.
Credo che questa vicenda della sciagurata dichiarazione di incostituzionalità della legge elettorale (che, ricordiamolo, non aveva impedito a Renzi di ottenere dal Parlamento eletto incostituzionalmente, persino una rovinosa modifica della stessa Costituzione!) che oggi consente al Parlamento incostituzionale di imporre ulteriori violazioni della Costituzione ed ulteriori bizzarrie, sostituendo il porcellum con, magari, un rosatellum, valendosi, oltre tutto, del ricatto della “necessità” di sopperire al “vuoto” di una legge “necessaria”, se no non si vota più, dovrebbe portare a qualche più attenta riflessione su quella mia proposizione, che giuristi patentati ed autopatentati disinvoltamente ostentano di ignorare, per la quale la “giurisdizionalizzazione” dello Stato è l’antitesi ed il principio della fine (ingloriosa) dello Stato di diritto.
Ma, francamente, è una speranza assai vaga.
di
Mauro Mellini
Eletto deputato nel 1976, ha combattuto le più note battaglie radicali per poi allontanarsi dal partito alla fine degli anni ottanta in concomitanza con la scelta del Partito Radicale di trasformarsi in soggetto transnazionale e di non partecipare più a competizioni elettorali italiane.
Successivamente ha ricoperto il ruolo di componente del Consiglio Superiore della Magistratura. Editorialista e saggista, è autore di numerosi scritti, in cui con vena polemica indaga sulle storture della legge. Il suo testo più noto è Così annulla la Sacra Rota (Samonà & Savelli), che contribuì fortemente all’approvazione della legge sul divorzio.
Nel 2006 ha fondato insieme ad Alessio Di Carlo il periodico on line GiustiziaGiusta, dedicato ai temi della giustizia in chiave garantista.
È stato ed è uno dei primi e più strenui difensori del garantismo, a partire dal celebre caso Enzo Tortora.