“Jobs Act” per i giudici il “demansionamento” è retroattivo

“Jobs Act” per i giudici il “demansionamento” è retroattivo

demansionamentoMan mano che il tempo passa, gli effetti reali del “Jobs Act” si ripercuotono sula vita dei cittadini e i nodi vengono al pettine. Uno degli aspetti più “odiosi” della nuova legge è senz’altro il “demansionamento”, anche perché insinua il (legittimo) sospetto che possa essere usato come arma di ricatto da parte del superiore per ottenere ad esempio prestazioni “particolari”.

il decreto legislativo n. 81 del 15 giugno 2015, entrato in vigore il 25 giugno 2015, meglio noto come “Jobs Act” ha introdotto una nuova e più permissiva normativa in materia di ius variandi ex art. 2103 c.c.

La vecchia legge consentiva una variazione in negativo della mansione a condizione che le nuove mansioni fossero “equivalenti alle ultime effettivamente svolte”, il “Jobs Act” invece permette l’assegnazione di “mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte” cioè tecnicamente si può fare tornare il dipendente alla mansione della prima assunzione. Una differenza di non poco conto.

Renzi ed il suo governo si erano affrettati a precisare che la nuova norma è applicabile solo ai nuovi contratti, i vecchi assunti quindi, non correvano nessun rischio in tal senso.

A smentire ancora una volta “l’allegra combriccola” del governo, ci ha pensato con la sentenza del 30/9/2015 il giudice del lavoro del Tribunale di Roma  (qui la sentenza in PDF) che è di avviso totalmente diverso: “premesso che, in difetto di qualsiasi norma transitoria, sicuramente la descritta novella legislativa si applica anche ai rapporti di lavoro già in corso alla data della sua entrata in vigore, resta da appurare se essa abbia rilevanza rispetto a mutamenti di mansioni disposti (come quello oggetto della presente controversia) prima del 25 giugno 2015 e in atto ancora dopo quella data. Ritiene il Tribunale che all’interrogativo debba darsi risposta affermativa”.

In effetti, osserva il giudice romano, “il demansionamento del lavoratore costituisce una sorta di illecito “permanente”, nel senso che esso si attua e si rinnova ogni giorno in cui il dipendente viene mantenuto a svolgere mansioni inferiori rispetto a quelle che egli, secondo legge e contratto, avrebbe diritto di svolgere. Conseguentemente, la valutazione della liceità o meno della condotta posta in essere dal datore di lavoro nell’esercizio del suo potere di assegnare e variare (a certe condizioni) le mansioni che il dipendente è chiamato ad espletare va necessariamente compiuta con riferimento alla disciplina legislativa e contrattuale vigente giorno per giorno; con l’ulteriore conseguenza che l’assegnazione di determinate mansioni che deve essere considerata illegittima in un certo momento, può non esserlo più in un momento successivo”.

Ovviamente questo è solo il primo grado di giudizio – ma immediatamente applicabile – sicuramente ci saranno altri ricorsi e la parola finale, come sempre spetterà alla Cassazione, ma “se son rose… fioriranno”.

Quindi dopo la sentenza della Corte di Cassazione sulla non applicazione dell’art. 18 anche ai dipendenti pubblici, un’altra tegola si abbatte sul governo – o meglio si abbatte sui lavoratori – cosà dirà ora Renzi?

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Debora Ranzetti

Pubblicato da Debora Ranzetti

Debora Ranzetti, romana, avvocato ma blogger per passione. Non ha partiti ne tessere, amante delle battaglie impossibili, il cui motto è: “non mi piego, ma a spezzarmi non ci penso nemmeno”. Scrive quello che pensa, senza filtri, ma sempre nel rispetto delle regole. Animalista, ambientalista, inquieta e sempre di corsa, ma pronta a fermarsi se qualcuno è in difficoltà.