“Io infiltrato dell”ISIS”: parla Gian Joseph Morici, il collega che ha ‘spiato’ i social dei jihadisti

“Io infiltrato dell”ISIS”: parla Gian Joseph Morici, il collega che ha ‘spiato’ i social dei jihadisti

In Sicilia lo conosciamo tutti come il fondatore della valledeitempli.net, irriverente giornale online che ha svelato non poche magagne della politica-affaristica siciliana.

Morici

Ma, da qualche anno,  Gian Joseph Morici, giornalista e scrittore di padre siciliano e di madre americana, non vive più ad Agrigento. Lo ritroviamo a Parigi da dove ha seguito da vicino le vicende legate al terrorismo jihadista. Lo abbiamo interpellato spesso per tentare di comprendere meglio il fenomeno e non siamo stati i soli. Le sue analisi e le notizie che ha fatto affiorare sono finite in più di una occasione sui grandi media italiani, oltre che su quelli francesi.

Si sa, ogni giornalista che si rispetti ha le sue fonti. Meglio se sono tante e variegate. Ma nel caso di Gian Joseph Morici c’è stato qualcosa di più. Come ci racconta in questa intervista, infatti, è riuscito ad infiltrarsi nella rete dei filo-jihadisti che hanno usato il web per fare proseliti. 

La sua ‘avventura’ diventerà presto un libro. Gli chiediamo di raccontarci quello che può, poiché, va da sé, le informazioni più scottanti sono finite sui tavoli di chi indaga.

Come inizia la tua storia di infiltrato?

GJM- Iniziai a seguire le vicende relative al terrorismo islamico già dalla seconda metà degli anni ‘90 quando molti jihadisti che avevano combattuto nei Balcani rimasero in Bosnia a promuovere l’Islam più violento utilizzando il Corano per preparare i giovani all’odio e alla guerra contro i cosiddetti nemici di  Allah. Trovandomi poi a scrivere di geopolitica e terrorismo,  nacque l’interesse a cercare di capire queste realtà. Entrai in contatto con i ribelli libici che combattevano il regime di Gheddafi. Notizie, immagini e video che spesso non trovavano spazio sulla stampa occidentale, venivano diffusi in rete raggiungendo centinaia di migliaia di persone. Questo mi diede l’idea di come stesse mutando la comunicazione da parte dei dissidenti che utilizzavano i social network come strumento per  promuovere il loro pensiero trasformando i lettori in protagonisti di azioni di protesta.

E, quindi, cosa hai fatto?
GJM- Registrai quindi un profilo nel quale non nascondevo né la mia identità né il mio ruolo nel mondo dell’informazione. Quando Shadi, un ragazzo con il quale ero in contatto, venne catturato e ucciso in Siria, ebbi l’idea di appropriarmi del nome di battaglia che utilizzava per un secondo profilo. Per fortuna avevo creato un piccolo archivio di quelli che erano i contatti di Shadi con l’altro profilo che nel frattempo avevo fatto bloccare segnalandolo più volte a Facebook. Cominciai a chiedere l’amicizia ai contatti che aveva con la seconda identità. Grazie alle conversazioni private che avevo avuto con lui, sapevo che questi soggetti non lo conoscevano personalmente e non sapevano dunque della sua morte. Ben presto mi trovai ad accettare nuove richieste di amicizia. Il mio profilo, nel frattempo veniva inserito nei gruppi chiusi di Facebook ai quali facevano parte molti ribelli radicalizzati.

Quali difficoltà hai trovato nell’entrare all’interno delle fila dell’ISIS?

GJM- Le difficoltà iniziali  furono quelle di doversi confrontare con loro in inglese e in francese, utilizzando le frasi più comuni nel mondo musulmano. Dal saluto ai ringraziamenti, alle benedizioni, ai richiami al Corano. In questo mi aiutarono molto le mie origini italiane e l’accenno alla conversione all’Islam in età adulta. Qualsiasi piccolo errore, ai loro occhi, risultava dunque perdonabile. Con il passare del tempo iniziarono a cooptarmi all’interno di gruppi segreti che a differenza dei gruppi chiusi non erano raggiungibili in alcun modo da altri utenti. A favorire il mio ingresso all’interno di questi gruppi, furono i collegamenti virtuali che avevo con profili Twitter e Facebook con soggetti come Shami Witness, seguito da oltre il 60% dei jihadisti stranieri, e i fondamentalisti londinesi Anjem Choudary e Mizanur Rahman i cui profili Facebook erano a me collegati. Furono loro la chiave che mi permise l’ingresso nel mondo dell’estremismo islamico europeo, in particolare quello inglese e quello francese.

GJM- Hai conosciuto italiani?
Sono stato in contatto con molti italiani o comunque soggetti residenti in Italia. Tra i tanti con italiani, ce ne sono pure diversi che combattono in Siria e in Iraq…
Puoi farmi qualche nome o dare indicazioni sui gruppi attivi in Italia?
GJM- Su questo preferisco mantenere il massimo riserbo. Posso solo dirti che diverse delle persone arrestate o espulse rientravano tra i miei contatti.
Qual era il nome che utilizzavi come profilo?
GJM- Utilizzai diversi profili. Qualcuno pubblico, nel senso che tutti potevano vedere, altri privati conosciuti soltanto a una ristretta cerchia di persone. Abu e Khalid erano tra i più noti. Ho anche usato un profilo di donna.

Quali sono state le tue impressioni osservando dall’interno il loro mondo?
GJM- Stando virtualmente tra loro, mi sono reso conto di come sia facile lasciarsi irretire dai predicatori di odio. Molti jihadisti e supporter europei sono immigrati di terza generazione. La prima generazione è quella che ha lasciato la propria patria per ragioni economiche. Persone che si sono adattate anche a svolgere i lavori più umili, cercando di integrarsi nel paese che li ha ospitati. La seconda generazione è quella che di solito cerca di affermarsi negli studi e nella vita professionale. La terza, è la generazione degli sconfitti. Quella che si trova ad affrontare i problemi di tutti i nostri giovani, la disoccupazione, la mancanza di prospettive, la sfiducia nei confronti di chi governa il paese. A questo a volte si aggiungono i problemi legati all’emarginazione, alla vita nelle periferie, alle frequentazioni con altri soggetti che vivono le stesse realtà.La loro rabbia, li rende facili prede dei predicatori d’odio che prospettano loro uno stato sociale diverso, più equo e rispettoso dell’uomo in quanto tale, con un unico essere superiore, Allah. Un mondo che per chi non è dotato di anticorpi in grado di farlo reagire al canto delle sirene, finisce con l’irretirli senza che abbiano neppure il tempo di accorgersi di quello che sta accadendo.

Quanto è importante la fede religiosa?
GJM- Il fattore religioso assume un’importanza fondamentale soltanto dopo che è iniziato il processo di radicalizzazione. Basti pensare che la maggior parte di questi giovani ha piccoli precedenti penali che sono ben lontani dai dettami coranici. A seguito del processo di radicalizzazione, la visione distorta della fede, proposta dai falsi imam, fa credere loro di essere dei perfetti musulmani, tanto da condannare quei musulmani che non accettano la violenza a cui loro inneggiano. Un capitolo a parte merita il rapporto che queste persone hanno con il mondo femminile. La loro ricerca di sesso facile, nonostante predichino tutt’altro, li spinge a commettere passi falsi. Con il mio nome da donna ho avuto diversi contatti. Proposte che a volte si spingevano fino alla richiesta di raggiungere le terre del Califfato per diventare la sposa di uno jihadista.

Quali sono le caratteristiche che dovrebbe possedere un infiltrato nel mondo del terrorismo islamico?
GJM- Per prima cosa serve un minimo di conoscenza del linguaggio da adoperare nelle conversazioni private, dei dettami del Corano, dell’interpretazione da parte dei loro studiosi. Poi, un pizzico d’inventiva che sia d’aiuto nel rispondere prontamente alle domande più insidiose.
Non c’è il rischio di stringere rapporti che possano portare chi si infiltra a rimanere irretito?
GJM- Il pericolo ovviamente esiste. Pensa alle migliaia di video e documenti che ho studiato nel corso di questi anni. La visione del materiale propagandistico, comprese le esecuzioni da loro effettuate con una coreografia degna del migliore cinema americano, rischia di coinvolgere chiunque non abbia la consapevolezza e la fermezza di chi sta recitando soltanto una parte. L’altro pericolo è rappresentato dalla sensibilità soggettiva che può portare a conseguenze imprevedibili. Nel corso di questi anni trascorsi a Parigi, per la traduzione dei video mi sono avvalso della collaborazione della giornalista Luisa Pace. La visione dei filmati delle esecuzioni, l’uso che fanno dei bambini e le continue scene di violenze e sangue, finiscono per toccare profondamente l’intimo di chiunque le osservi per lunghi periodi. Purtroppo il lavoro di un giornalista è fatto anche di questi aspetti, tanto che negli ultimi mesi, dopo aver visto centinaia di video, la giornalista Pace, che ne dava pure notizia alla stampa nazionale francese, ha raggiunto un livello di saturazione eccessivo per chiunque. È questa la ragione per la quale gli analisti statunitensi periodicamente vengono sottoposti a periodi e tecniche che servono a disintossicarli dall’enorme quantità di violenza alla quale sono stati costretti ad assistere.

Quanto è pericoloso fare l’infiltrato?
GJM- Sicuramente l’infiltrarsi non è esente da rischi. Il pericolo è quello di essere scoperti e finire in una kill list. Anche se ad oggi non mi risulta abbiano ucciso le persone che sono riuscite ad individuare, non v’è dubbio che sapere di essere finito in una lista di quel tipo, con tutte le indicazioni utili a farti trovare, non è affatto piacevole. Ho un archivio con migliaia di profili di soggetti radicalizzati in territorio europeo, tra i quali diversi italiani, e centinaia di jihadisti la cui pericolosità è un dato certo…
Hai mai segnalato questi profili?
GJM- No comment…
So che vorresti scrivere un libro per narrare la tua storia di infiltrato…
GJM- Sì, è vero. ho già iniziato a prendere appunti e contatti per scrivere su questi lunghi anni trascorsi a confrontarmi con un mondo che non mi appartiene e del quale temo gli sviluppi… Spero che questo possa servire alla comprensione delle loro dinamiche e a mettere in atto adeguate contromisure.
In tal senso, come valuti l’operato le intelligence occidentali?
GJM- Non ho critiche da muovere ai nostri apparati che avrebbero potuto operare con la massima efficienza. Purtroppo, a causa di una classe politica poco attenta alle tematiche in questione, i nostri operatori sono costretti a dover fare miracoli con strumenti legislativi che giudico inadeguati e con risorse economiche del tutto risibili. Questi sono alcuni degli aspetti che svilupperò nel mio nuovo libro.

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