La furia dei Narcos che uccide chiunque
Un paese latino del Centro – America, distante migliaia di chilometri dall’Italia, famoso sempre nel corso degli anni passati per la bellezza del suo territorio e per la sua secolare affascinante storia: dalle vicende eroiche legate alla rivoluzione nazionale del periodo 1910 – 1920, alla leggendaria apparizione della Madonna di Gualalupe al servo Juan, una storia che ancora oggi lascia tutti senza parole. Flotte di turisti da ogni angolo del mondo continuano così a visitare questa terra, ricca di storia, fascino, mistero. Il bellissimo Messico.
Un paese che purtroppo da un paio d’anni sta vivendo un dramma senza precedenti: il clima di terrore imposto in tutta la nazione dai signori dei cartelli della droga, che non risparmiano nessuno davvero di coloro che vogliano provare ad opporsi ai loro progetti. Donne, anziani, sacerdoti , ma anche giornalisti, una mattanza senza fine. Gli addetti alla stampa sono stati spesso negli ultimi anni nel mirino delle potenti gang criminali messicane. L’ultimo omicidio di un reporter è stato quello avvenuto il 15 Maggio a Culiacan, capitale dello Stato di Sinaloa, del noto scrittore e corrispondente Javier Valdez Cárdenas, fondatore e redattore della rivista locale Riodoce, molto conosciuto in patria e all’estero per le sue tante inchieste sugli intrecci tra i cartelli della droga e il mondo politico, nelle quali aveva dimostrato come i Narcos riescano ad avere tuttora il quasi totale controllo delle istituzioni. Era noto anche per aver documentato e seguito con grande coraggio negli anni le vicende legate al cartello di Sinaloa, uno dei più pericolosi e potenti del paese.
Negli ultimi dieci anni oltre 120 giornalisti hanno perso la vita in questo paese, assassinati da uomini dei Narcos, e diversi altri risultano tutt’ora scomparsi. Un paese in cui la libertà d’espressione non sembra più esistere, come sottolineato da un recente rapporto di Reporters sans frontières (Rsf) : “Il Messico è uno dei paesi più pericolosi del mondo per i giornalisti; le minacce e gli omicidi per mano del crimine organizzato – incluse le autorità corrotte – sono all’ordine del giorno. Questo clima di paura, associato all’impunità diffusa, genera autocensura e compromette la libertà d’informazione”.
Su tanti omicidi di reporter avvenuti in tale paese, in quasi nessun caso sono stati alla fine individuati ed arrestati i responsabili, sintomo dell’immobilità e dell’impotenza, ma anche del lassismo delle istituzioni locali. Anche la UE in passato ha chiesto a voce alta una maggior protezione dell’ordine dei giornalisti in questa nazione da parte del Governo, e delle autorità di polizia. Quando una penna scrive una verità alquanto scomoda, in questo paese la si fa sparire per sempre. Diversi film in questi anni hanno documentato il dramma vissuto negli anni in Messico dagli organi di stampa, come anche da tutta la popolazione. In particolare nella pellicola “Bordertown” del 2006, con protagonisti Antonio Banderas e Jennifer Lopez, viene proprio descritta una vicenda del tutto corrispondente alla verità: quella del massacro delle donne nella città di Ciudad Juarez, definita “la città che odia le donne”. I due giornalisti che indagano sui responsabili di tale barbarie, e sul losco intreccio di affari legato a tale crimine, fanno poi i conti con la dura legge della mala locale, che zittisce tutti coloro che vogliano portare a galla la verità: uno dei due viene brutalmente assassinato nella sua redazione (Alfonso Diaz – Antonio Banderas) mentre la cronista Lauren Adrian (Jennifer Lopez) riesce miracolosamente a sfuggire alla rete del criminalità locale. Chiunque indaghi, e scriva, o cerchi di far conoscere la verità in questo paese, muore. Questo è il senso, quanto più reale possibile, di questo film.
La furia dei Narcos colpisce chiunque, non solo la stampa. Anche i più deboli, o le persone inermi, chiunque, senza alcuna distinzione. Qualsiasi essere umano che provi ad opporsi o a contestare le loro metodologie, o che indirettamente sia coinvolto in qualche affare a loro legato, viene inevitabilmente trucidato, senza pietà alcuna. Come nel caso dei sacerdoti, già vittime diverse volte in questo 2017 di brutali omicidi. L’ultimo risale a pochi giorni fa, nel Comune di Reyes: a morire sotto i colpi dei killer è stato Padre Luis Lopez Villa, 71 anni, sacerdote della Parrocchia San Isidro Labrador. I sicari avrebbero fatto irruzione di notte nella sua stanza immobilizzandolo ad una sedia e uccidendolo con un coltello, ma ancora oggi risultano poco chiari i motivi di tale gesto. Furia omicida che non risparmia davvero nessuno, nemmeno i più piccoli. Alcuni giorni fa, nella città di Tizayuca, parte centrale del paese, un commando armato di pugnali e coltelli ha fatto irruzione in un’abitazione dove era in corso una festa per bambini: ne è scaturita una vera carneficina, nella quale hanno perso la vita sette uomini, due donne, ma anche due bambini.
Da indiscrezioni della stampa messicana sembrerebbe che il motivo dell’irruzione sia da ricercare in un regolamento di conti con il proprietario della casa. La brutalità nei metodi continua d’altronde ad essere una prerogativa della criminalità messicana. Uccisioni di massa, o atti barbari di tortura ai danni delle povere vittime. Come la tecnica della “bandiera”, consistente nello staccare la faccia del malcapitato e appenderla come un vessillo su di una picca accanto al cadavere della vittima, come monito alle bande rivali della propria potenza e ferocia. La spettacolarizzazione dei propri crimini fa da sempre parte della cultura criminale del Messico. Nel mese di Aprile, il Washington post, in un servizio del corrispondente Joshua Partlow, ha riportato la notizia del lancio di alcuni cadaveri da un aereo in volo a bassa quota nella città di Eldorado, nello stato di Sinaloa, ennesimo inquietante segnale spedito agli altri cartelli della droga, come a tutta la popolazione. L’arresto nel Gennaio 2016 di Joaquín Guzman Loera, “El Chapo” , il boss incontrastato del cartello di Sinaloa, estradato in seguito negli USA dove verrà processato, non ha fermato le violenze e gli scontri nella zona , diventata oramai senza dubbio la regione più pericolosa del paese. Il suo cartello rimane ancora il più potente del Messico, detenendo il controllo di oltre la metà di tutta la droga che dal paese defluisce negli Stati Uniti, e rimane allo stesso tempo anche uno gruppi dei criminali più sanguinari, autore negli anni scorsi come tutt’ora di innumerevoli stragi, sia tra gli uomini delle bande rivali come anche nella stessa popolazione. Non meno agguerriti e spietati sono ad oggi anche il cartello di Tijuana, Sonora, Juarez, Jalisco (autore del massacro di poliziotti nell’agguato di Guadalajara nell’Aprile 2015), quello capeggiato da Leticia Rodriguez Lara o “Donna Lety”, ex poliziotta convertitasi in intransigente capo del cartello di Cancun, o i Los Zetas, altro cartello operante nella zona costiera della parte meridionale del paese.
Alle luce di tutta questa situazione, gli occhi sono da tempo puntati sul Presidente Enrique Peña Nieto, incapace in qualsiasi modo finora di intervenire duramente per reprimere la scia di sangue generata dalla crudeltà dei Narcos. Eletto nel 2012 in un clima arroventato da presunti brogli elettorali, è stato sempre oggetto di pesanti critiche per il suo scarso interventismo in situazioni davvero importanti, come nel caso della famosa strage di studenti del 2014 ad Ayotzinapa, nello stato di Guerrero, in cui non consentì subito l’intervento federale. La sua impopolarità è cresciuta giorno dopo giorno, vista la totale mancanza di risposte concrete per contrastare l’ascesa feroce e incontrollata delle bande criminali nel paese. Alla luce di tutto ciò, sembrava più che giustificata la fuga che molti residenti messicani hanno intrapreso negli anni scorsi verso gli Stati Uniti, lasciandosi alle spalle una nazione in cui non vige più nessun controllo da parte del Governo, in cui regna solo la legge sanguinaria dei Narcos, e della criminalità in genere. Trump ha voluto però subito fermare anche questa fuga disperata, volendo costruire nei prossimi anni un muro lungo tutto il confine, fermando così la tristissima corsa di chi fugge dall’inferno.
Un bellissimo paese davvero il Messico, dove da un po’ di tempo si vive totalmente nel terrore. I giornalisti scrivono e muoiono in tale nazione, in nome della verità. Un’intera popolazione che vive ogni giorno nella paura, e vorrebbe scappare via. Era una terra felice, ora non lo sarà più.
di
Graziano Dipace
La Redazione di Fatti&Avvenimenti.